6 maggio 2010

caelum non animum muntant qui trans mare currunt

quella volta ero nervoso, reso ancora più nervoso dalla necessità di apparire tranquillo e sempre padrone della situazione. era il mio primo incarico da skipper, la prima navigazione lunga, le prime due traversate con la responsabilità sulla barca e su chi ci stava sopra. e a parte l'amica con cui condividevo la responsabilità, il resto dell'equipaggio si dimostrò subito inadatto al compito. un gruppuscolo di giovincelli cazzari e spensierati, interessati più alle discoteche dei porti che all'avventura della vela, più ai bagnetti che al vento, sempre pronti alla rimostranza se l'acqua del mare non era alla loro temperatura preferita. come se ci potessi fare qualcosa, ecco. l'arrivo a portisco era stato più avventuroso e faticoso di quanto temevo, anche se senza incidenti. il maestrale non lasciava scampo, eravamo condannati a restare nel porticciolo più caro d'italia per almeno due notti. loro erano felici, perché c'erano i localifighi. la seconda sera, snervato dall'attesa e dalla compagnia, mentre loro andavano a rosolarsi in spiaggia, decisi di restare a bordo a sistemare la barca, e a cucinare. cucinare in barca è entrare in un'altra dimensione: i fuochi sono solo tre e piccoli, le pentole sono poche e con i coperchi spaiati, lo spazio è assente. in un modo o nell'altro riuscii a far bollire un po' di patate, e una quantità equivalente di fagiolini (pagati al prezzo della costa smeralda, ovviamente). in mancanza di un passaverdure schiacciai tutto con la forchetta, e lo insaporii brevemente in una padella con una cipolla.
il profumo mi fece pensare che con una cena così i fighetti sarebbero stati felici di darmi una mano il mattino dopo, quando si prevedeva una breve calma nel maestrale, tanto da passare le bocche di bonifacio. una spruzzata di maggiorana e di origano aggiungevano odori mediterranei, perfetti per l'occasione.

i profumi fanno diventare ottimisti.

questo pensavo mentre aspettavo che l'impasto si raffreddasse abbastanza da romperci dentro un paio di uova, imburrando e cospargendo di pangrattato l'unica, macilenta teglia di bordo. amalgamai tutto tranquillamente, e godendomi il tepore del sole mitigato dal vento, aggiunsi parecchio parmigiano grattugiato (quante g ci vanno in grattugiato? due?). alla fine mi decisi a spalmare tutto nella teglia, tirandolo pari con una forchetta, in modo che fosse alto non più di due centimetri. con la forchetta, rigai la superficie a losanghe, come una crostata, e la cosparsi abbondantemente di pangrattato e origano, fino a coprirla. in mancanza di un forno elettrico, decisi che era pronta quando fu ben dorata. di sicuro l'equipaggio avrebbe gradito, e sarebbe stato felice di partecipare alla navigazione dell'indomani.

dopocena gli dissi che il mattino dopo saremmo partiti molto presto, perché dovevamo recuperare le miglia perse nella sosta. all'unisono risposero: perfetto, così andiamo in discoteca fino all'alba e poi andiamo a dormire mentre tu fai andare la barca.

5 commenti:

  1. mica tutte le storie di cucina finiscono bene

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  2. grazie per la ricettina semplice ma gustosissima...prometto che non cucinerò per dei fighetti! :))

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  3. i profumi fanno diventare ottimisti mi sa che me la rivendo un giorno...

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