Quello che vi racconto ha avuto luogo qualche anno orsono, a casa di un avvocato napoletano. Quello che vi racconto ha per sempre cambiato il mio rapporto con i polpi. L'avvocato, caratterizzato da circonferenza addominale pari all'altezza (ovviamente un potenziale falso positivo: essere panciuti non significa saper mangiare nè tantomento cucinare), si trovava solo con i figli ed un amico dei figli (io) nel dover organizzare una cena per non ricordo quale diavolo di festività. Tra gli ingredienti prescelti, appunto, un polpo. Essendo riconosciuto da taluni come competente in fatto di cucina, comprato l'essere tentacolato, avevo costruito attorno alla bestia l'immagine prevedibile della cottura standard: H2O, aceto, un tappo di sughero, etc... (già il finocchietto mi suona nuovo). Appena l'avvocato vide l'essere, il paolo, e le mie prime mosse per la sua preparazione inorridì e, con fare di rimprovero, mi disse: O purpo se coce int' a l'acqua soja. Da buon brianzolo, geneticamente chiuso alle novità, senza nemmeno sapere di cosa stesse parlando, risposi citando le numerose ricette che, avendo come ingrediente il polpo, consigliavano una cottura comunque standardizzata. L'avvocato, abituato ad avere a che fare con contestazioni plateali, argomentazioni sottili, prepotenze di ogni genere mi scansò senza indugi, versò un quantitativo apparentemente esagerato di olio di oliva (2-3 dita) in una pentola alta e di circonferenza ridotta (infinitesima rispetto a quella del suo addome), scaldò l'olio per qualche minuto, aggiunse due spicchi d'aglio, un po' di prezzemolo praticamente intero e, per finire, gettò il polpo paolo così com'era nell'olio intanto divenuto molto caldo. Mescolatina, coperchio, fiamma medio-bassa e arrivederci. Se ne andò a legger giornali.
Allarmato per il possibile destino del paolo tentai di far valere, senza successo, le mie ragioni: 'ma come si fa, con tutto quell'olio... e poi senz'acqua', 'ma poi, santiddio, il prezzemolo va messo alla fine!!!', 'per carità, il fuoco è troppo alto'. Talvolta, tuttavia, occorre ammettere la propria ignoranza, i propri errori, senza favellare. Il polpo, dopo 30 minuti su per giù (il tempo varia al variare del peso del paolo in questione), venne estratto da quella che ormai era diventata l'acqua soja (che a questo punto chiamerei il sudore di paolo) mischiata con tutto il resto, steso su un tagliere, ridotto a piccoli cubetti, mischiato con delle patate lesse, anch'esse ridotte a cubetti e condito con un po' della brodaglia untuosa e di olio crudo. Sfido chiunque, non dotato di tecnologie aliene, nel produrre un paolo altrettanto morbido e saporito. Da allora, ogni volta che cucino un paolo, lo chiamo gennaro, in onore dell'avvocato.
NB come se non bastasse, la brodaglia, il sudore del paolo, è sufficiente per svariati etti di pasta che, condita con il sudore, non necessità di null'altro... magari solo un pomodorino saltato...
benvenuto!
RispondiEliminagiusto ieri mi sono ispirato a gennaro. erano tanti gennarini, manine di totani orfani del resto dei loro corpi: hanno fatto esattamente come il tuo gennaro, e alla fine hanno accolto tra le manine spaghetti e pomodorini freschi. una libidine, davvero. applausi.
gran ricetta !
RispondiEliminaevviva tu, l'avvocato ed il polpo con l'acqua sua.
s.
RispondiEliminaàlè sei arrivato :***
RispondiEliminafatto! ma per dare un tocco personale ho deciso di chiamarlo rafe'