- Te lo dico per l'ultima volta, devi smetterla di andare all'ipercoop quando ci sono gli sconti sugli stampi di silicone, che questo pensile sta traboccando!
- Ma dai, non prendono tanto posto! Lo vedi, si ripiegano uno dentro l'altro. E poi quello da plum cake mi serviva proprio.
- Infatti... sbaglio o ne avevi già uno?
- Ma questo è di misura totalmente diversa!
- Seee... due centimetri di meno in lunghezza e mezzo in larghezza, capirai...
- E poi questo ha il fondo liscio, non scanalato come quello che avevo già, così lo posso usare anche per una bavarese o qualcos'altro da rovesciare.
- E quell'altro che hai comprato, quello a ciambella pieno di nervature che pare un turbante, dimmi che ti serviva anche quello!
- Ma di silicone a ciambella non ne avevo mica! E poi è così bello, guardalo! Non è bellissimo? Pensa che meraviglia uno sformato di carciofi fatto qui dentro, magari con la besciamella dentro al buco...
- Mmmm...
- Vero? Ehi, ma che fai? Ma stai masticando!
- Mmmm, buono questo ciambellone, come hai detto che si chiama?
- Kugelhupf. Hai visto che bello? L'ho fatto con quello stampo lì, quello a ciambella. E te che non volevi farmelo comprare!
- E meno male che ti ho fermata, t'ho vista sai che avevi già puntato quello multiplo da muffin, che già abbiamo quelli singoli. Senti, e quella treccia brioche che hai fatto ieri nello stampo da plum cake?
- Se l'è finita la creatura.
- Peccato. Quando la rifai?
Salve a tutti, sono Perladarsella. La mia droga sono i lievitati, l'oscuro oggetto del desiderio la planetaria.
Ah, sono entrambi i personaggi del dialogo.
27 febbraio 2011
cernissima (non è una ricetta, son due)
non si possono correre rischi a una prima cena. non si prova un piatto per la prima volta se c'è gente (e che gente) che cena a casa tua per la prima volta. che poi se all'emozione per l'evento unisci l'ansia da prestazione culinaria... no no, meglio andare sul sicuro.
allora provo ad andare al banco del pesce del mercato sotto casa, che mi ha sempre ispirato bene, ma non mi sono mai alzato abbastanza presto o con abbastanza voglia per scendere prima che il pesce migliore venisse pescato dalle massaie della zona. e scopro che ne vale la pena. scopro anche che le razze si mangiano, e mi dispiace per loro vederle così spiattellate come patatine in attesa di essere fritte. in compenso i branzini sono dei signori le orate delle principesse. il pesce fresco è maestoso. i pescivendoli chiamano cara tutte le massaie, soprattutto le più cesse, che gongolano. tra tutta quella meraviglia da pranzo di gala c'è una cassetta che sembra di scarti: i ciuffi di calamaro. del calamaro quello che conta è il corpo coniforme. tagliato ad anelli e messo nel fritto solo perché così si torna bambini e ci si infila la lingua. i ciuffi sarebbero scarti, ma qualcosa ancora valgono e allora ecco quella cassetta di bontà a prezzo dimezzato rispetto al resto del corpo.
la regola è: se ti conosco salti la fila. non avendo voglia di travestirmi da massaia milanese settantenne, mi piazzo davanti alla cassetta di scarti con aria baldanzosa, e saluto lo sconosciuto pescivendolo con un garrulo ciao! lui non batte ciglio, ma tiene a mente che tocca a me. la massaia vede che prendo quella roba strana e mi chiede ma sono teneri? mi vien da dire che cazzo ne so li devo ancora mangiare, ma le sorrido e le dico tenerisssimi, signora. con tre esse.
lo scarto di calamaro finisce in olio caldo e aglio bio, padella coperta e fuoco medio, a lasciar uscire tutta la loro acqua e poi riassorbirsela finché non resta una sugagna che chiama spaghetto. alla chitarra, toh. un attimo prima di scolare butto in padella una manciata di pomodorini tagliati in quattro, salto con prezzemolo, e via. talmente facile e d'effetto che se vuoi fare finta di saper cucinare, ti viene benissimo. bella figura assicurata.
ah, invece volevo dire quest'altra cosa, a proposito del mojito qui sotto. che guido ieri ha fatto questa cosa con la cernia marinata nel lime e aggiunta di cipolle. buonissima. spettacolare. da urlo. ma insomma tonno mojito e cernia lime dovrebbero conoscersi. secondo me la cernia con lime e rhum si può anche provare. cernissima.
allora provo ad andare al banco del pesce del mercato sotto casa, che mi ha sempre ispirato bene, ma non mi sono mai alzato abbastanza presto o con abbastanza voglia per scendere prima che il pesce migliore venisse pescato dalle massaie della zona. e scopro che ne vale la pena. scopro anche che le razze si mangiano, e mi dispiace per loro vederle così spiattellate come patatine in attesa di essere fritte. in compenso i branzini sono dei signori le orate delle principesse. il pesce fresco è maestoso. i pescivendoli chiamano cara tutte le massaie, soprattutto le più cesse, che gongolano. tra tutta quella meraviglia da pranzo di gala c'è una cassetta che sembra di scarti: i ciuffi di calamaro. del calamaro quello che conta è il corpo coniforme. tagliato ad anelli e messo nel fritto solo perché così si torna bambini e ci si infila la lingua. i ciuffi sarebbero scarti, ma qualcosa ancora valgono e allora ecco quella cassetta di bontà a prezzo dimezzato rispetto al resto del corpo.
la regola è: se ti conosco salti la fila. non avendo voglia di travestirmi da massaia milanese settantenne, mi piazzo davanti alla cassetta di scarti con aria baldanzosa, e saluto lo sconosciuto pescivendolo con un garrulo ciao! lui non batte ciglio, ma tiene a mente che tocca a me. la massaia vede che prendo quella roba strana e mi chiede ma sono teneri? mi vien da dire che cazzo ne so li devo ancora mangiare, ma le sorrido e le dico tenerisssimi, signora. con tre esse.
lo scarto di calamaro finisce in olio caldo e aglio bio, padella coperta e fuoco medio, a lasciar uscire tutta la loro acqua e poi riassorbirsela finché non resta una sugagna che chiama spaghetto. alla chitarra, toh. un attimo prima di scolare butto in padella una manciata di pomodorini tagliati in quattro, salto con prezzemolo, e via. talmente facile e d'effetto che se vuoi fare finta di saper cucinare, ti viene benissimo. bella figura assicurata.
ah, invece volevo dire quest'altra cosa, a proposito del mojito qui sotto. che guido ieri ha fatto questa cosa con la cernia marinata nel lime e aggiunta di cipolle. buonissima. spettacolare. da urlo. ma insomma tonno mojito e cernia lime dovrebbero conoscersi. secondo me la cernia con lime e rhum si può anche provare. cernissima.
Tonno-Mojito
Dopo la piscina tutto mi pare più buono, anche il Tonno-Mojito che mi sono cucinato oggi.
Ci sono, quindi, due possibili interpretazioni: per apprezzare questo piatto occorre prima farsi una bella nuotata, oppure, il piatto è gustoso in sè e le abluzioni sono superflue. Fate voi.
Soffriggere aglio, olio, acciuga e capperi.
Aggiungere quindi un cucchiaio abbondante di concentrato di pomodoro, precedentemente stemperato in mezza tazzina d'acqua calda.
Inserire quindi dei pezzetti di tonno fresco. E fin qui, è solo tonno.
Poi arriva il Mojito: trascorsi pochi minuti ho provato a sfumare il tutto con un cucchiaio di rum scuro (anche se nel mojito non va il rum scuro, però, vabbhè). Per coerenza, ho quindi aggiunto qualche foglia di menta e ho salato. Altri pochi minuti di cottura. Salato e mangiato.
Ci sono, quindi, due possibili interpretazioni: per apprezzare questo piatto occorre prima farsi una bella nuotata, oppure, il piatto è gustoso in sè e le abluzioni sono superflue. Fate voi.
Soffriggere aglio, olio, acciuga e capperi.
Aggiungere quindi un cucchiaio abbondante di concentrato di pomodoro, precedentemente stemperato in mezza tazzina d'acqua calda.
Inserire quindi dei pezzetti di tonno fresco. E fin qui, è solo tonno.
Poi arriva il Mojito: trascorsi pochi minuti ho provato a sfumare il tutto con un cucchiaio di rum scuro (anche se nel mojito non va il rum scuro, però, vabbhè). Per coerenza, ho quindi aggiunto qualche foglia di menta e ho salato. Altri pochi minuti di cottura. Salato e mangiato.
23 febbraio 2011
questioni di patata
mi devo ricredere. non starò a dire i motivi per cui ho sempre preferito le amicizie femminili. anzi no: i motivi per cui ho sempre avuto amiche donne, mai uomini. eppure sto scoprendo il piacere di un'amicizia rilassata, senza confronti, senza fare a gara a chi ce l'ha più duro. finalmente anche con un altro con cui confrontarmi, ora che abbiamo abbastanza esperienze da poterci confrontare. anche per questo basta qualcosa di semplice un dire passa di qui, porta pure i cani. è l'occasione giusta per provare a rifare quel piatto del friulano, il mio nuovo ristorante preferito di milano, in cui non vedo l'ora di tornare.
non importa quanto sia semplice un piatto, provare a rifarlo dopo averlo mangiato una volta e senza avere la ricetta pone degli interrogativi esistenziali. di sicuro c'erano le patate, l'uovo, la cipolla e il formaggio. facile, direte voi. in che ordine, in che quantità, con quali trattamenti? dico io.
allora provo. intanto aggiungo lo speck a dadini, che di sicuro al ristorante non c'era. lo metto in padella a saltellare, poi aggiungo la cipolla tagliata fine, ma lo speck non è pancetta: è troppo magro. i friulani sono più da burro che da olio, ma io son ligure e dico olio. poco, giusto per soffriggere. già il profumo mi dice che la strada è giusta. quando la cipolla è dorata aggiungo la patata, tagliata a fette finissime, e un po' di foglie di rosmarino (nemmeno questo c'era nell'originale, forse in friuli non si usa). mischio in modo che le patate si ungano per non attaccarsi, copro e lascio andare. quando sanno di cotto spengo. niente sale, c'è già lo speck.
dopo il primo (risotto zafferano e funghi, per la cronaca), le patate son fredde. in un piatto mischio un uovo e il formaggio, tipo latteria, bitto, insomma uno di quelli lì di montagna, ci verso le patate fredde, mischio tutto e rimetto in padella. doratura di qua, doratura di là, ed è pronto.
le fettine di speck lasciate scaldare in padella finché non diventano croccanti, sopra, ci stanno proprio bene.
rustico come un'amicizia tra uomini pelosi.
non importa quanto sia semplice un piatto, provare a rifarlo dopo averlo mangiato una volta e senza avere la ricetta pone degli interrogativi esistenziali. di sicuro c'erano le patate, l'uovo, la cipolla e il formaggio. facile, direte voi. in che ordine, in che quantità, con quali trattamenti? dico io.
allora provo. intanto aggiungo lo speck a dadini, che di sicuro al ristorante non c'era. lo metto in padella a saltellare, poi aggiungo la cipolla tagliata fine, ma lo speck non è pancetta: è troppo magro. i friulani sono più da burro che da olio, ma io son ligure e dico olio. poco, giusto per soffriggere. già il profumo mi dice che la strada è giusta. quando la cipolla è dorata aggiungo la patata, tagliata a fette finissime, e un po' di foglie di rosmarino (nemmeno questo c'era nell'originale, forse in friuli non si usa). mischio in modo che le patate si ungano per non attaccarsi, copro e lascio andare. quando sanno di cotto spengo. niente sale, c'è già lo speck.
dopo il primo (risotto zafferano e funghi, per la cronaca), le patate son fredde. in un piatto mischio un uovo e il formaggio, tipo latteria, bitto, insomma uno di quelli lì di montagna, ci verso le patate fredde, mischio tutto e rimetto in padella. doratura di qua, doratura di là, ed è pronto.
le fettine di speck lasciate scaldare in padella finché non diventano croccanti, sopra, ci stanno proprio bene.
rustico come un'amicizia tra uomini pelosi.
22 febbraio 2011
Fastrice (il risotto della corsa)
Warning! Contenuti pericolosamente destabilizzanti
19.30
"papà ho fame, PAPA' ABBIAMO FAME!!"
decibel oltre gli ottanta, soglia del dolore.
"fai il risotto, failrisottoRISOTTO!!"
Ingredienti:
Mezzo chilo di Scotti bio, il resto a caso.
Buttare nella PENTOLA A PRESSIONE vari dadini di cipolla SURGELATA, evo a piacere.
Nel frattempo sciogliere fino a ebollizione in un pentolino un DADO e mezzo VEGETALE.
Tostare il riso, sfumare con varie sbroffate di TAVERNELLO BIANCO da bricco di cartone, aggiungere il brodo coprendo almeno di un dito il riso, aggiungere altro mezzo dado e mescolare con vigore.
Niente sale.
Chiudere la bomba in pectore, alzare la fiamma.
Al partire del fischio PIENO contare otto minuti secchi e aprire.
Zafferano, noce di burro, parmigiano, mantecate.
Viene all'onda, giuro e neanche male.
"papà che buonoILTUORISOTTO!!"
"ce la fate a star zitti almeno mentre mangiate?"
19.30
"papà ho fame, PAPA' ABBIAMO FAME!!"
decibel oltre gli ottanta, soglia del dolore.
"fai il risotto, failrisottoRISOTTO!!"
Ingredienti:
Mezzo chilo di Scotti bio, il resto a caso.
Buttare nella PENTOLA A PRESSIONE vari dadini di cipolla SURGELATA, evo a piacere.
Nel frattempo sciogliere fino a ebollizione in un pentolino un DADO e mezzo VEGETALE.
Tostare il riso, sfumare con varie sbroffate di TAVERNELLO BIANCO da bricco di cartone, aggiungere il brodo coprendo almeno di un dito il riso, aggiungere altro mezzo dado e mescolare con vigore.
Niente sale.
Chiudere la bomba in pectore, alzare la fiamma.
Al partire del fischio PIENO contare otto minuti secchi e aprire.
Zafferano, noce di burro, parmigiano, mantecate.
Viene all'onda, giuro e neanche male.
"papà che buonoILTUORISOTTO!!"
"ce la fate a star zitti almeno mentre mangiate?"
21 febbraio 2011
con tutto il cuore
Lo so che hai pensato di trovare la ricetta del muscolo, lo so.
Invece parlo di quello che a volte si chiama anima, non animella!, quello dove c'è il buono, no, non la bottiglia del campari!, fff, insomma!, parlo di amore.
Quello che passa dalle mani al piatto quando cucini per qualcuno.
Ecco, io volevo avvisarti che quel cuore lì si sente ancora anche nelle cose scongelate, non so se in tutte, ma nel babbà rustico sì. E anche nel fegato alla veneziana. Per non parlare di pancetta e carciofi, che scoppian di cuore.
(sì, ho un'amica che temeva morissi di fame se non mi lasciava quelle sette-ottocento cose cucinate)
Invece parlo di quello che a volte si chiama anima, non animella!, quello dove c'è il buono, no, non la bottiglia del campari!, fff, insomma!, parlo di amore.
Quello che passa dalle mani al piatto quando cucini per qualcuno.
Ecco, io volevo avvisarti che quel cuore lì si sente ancora anche nelle cose scongelate, non so se in tutte, ma nel babbà rustico sì. E anche nel fegato alla veneziana. Per non parlare di pancetta e carciofi, che scoppian di cuore.
(sì, ho un'amica che temeva morissi di fame se non mi lasciava quelle sette-ottocento cose cucinate)
17 febbraio 2011
Cucina all'italiana
Se vi aspettate un piatto di spaghetti al pomodoro siete fuori strada. Lo stereotipo va bene per i turisti, ma noi ci possiamo anche aggiornare, no? Quell'Italia lì esiste solo nei film: io cuochi con i baffi non ne ho mai conosciuti, e la pasta la mangio un paio di volte alla settimana, se va bene.
Oggi ho pranzato tardi ‒ o dovrei dire in ritardo? ‒ dopo aver fatto talmente tardi per un appuntamento con un amico, da aver annullato l'appuntamento ben oltre l'ultimo momento, quando già ero in ritardo ed ero ancora a casa anziché dove avrei dovuto essere. Alla fine ho pranzato alle tre e qualcosa, quando tutti sono già a lavoro o a studiare o ‒ i più fortunati ‒ a farsi una pennichella sul divano.
Il mio pranzo tipicamente italiano è stato ‒ come dire? ‒ a cazzo di cane. Avevo delle patate lesse in frigo; ne ho prese un paio, le ho sbucciate senza fare troppo il precisino e le ho fatte a pezzi in un piatto. Poi ho preso una scatoletta di tonno. Erano mesi che non mangiavo tonno, ma l'ultima volta che sono stato alla Coop non sapevo proprio come spendere quegli 80 cent. e ho preso questa scatoletta gialla di non ricordo che marca ‒ diceva Prezzo più basso, e tanto è bastato a convincermi a prendere quella. Dunque ho aperto la scatoletta e ho sgocciolato l'olio in una bottiglia in cui raccolgo l'olio usato. Sì, non butto l'olio nel lavandino o nel cesso: lo raccolgo. Ci tengo all'ambiente, faccio la raccolta differenziata, evito le cose che hanno troppo packaging attorno e raccolgo l'olio usato. Ora non so se l'olio del tonno si può raccogliere insieme all'olio fritto, ma trattandosi di cucina all'italiana ho scrollato le spalle e mi sono detto: «Chi se ne frega». L'importante è che non finisca nelle tubature, no? Non lo so, penso che sia così. Poi un giorno, quando la bottiglia sarà piena, la porterò da qualche parte e Loro con quell'olio ci faranno non so cosa. Non sono affari miei: se la vedranno Loro. Tanto poi nella bottiglia ci è finita anche qualche cipollina soffritta, figurati se stanno a guardare che ho mischiato l'olio del tonno e l'olio fritto. Se è per questo ho mischiato anche olio di semi e olio d'oliva ‒ ma solo una volta. Non è colpa mia, sono in buona fede anche se non lo so. La legge non ammette ignoranza, ma l'italiano non ammette la colpa. In tutto questo ho trovato suggestivo il silenzio, il buio del pomeriggio senza sole, la lucetta della cucina accesa, la solitudine e il suono dell'olio del tonno che gorgogliava nell'imbuto ‒ tutte cose tipicamente italiane, sicuramente molto più del mandolino. Ma questo è niente.
Sgocciolata l'ultima goccia ‒ anzi, sgocciolata quasi l'ultima goccia, perché la scatoletta suggeva ancora olii d'oliva poco naturali, ma «Chi se ne frega», il grosso era fatto ‒ la apro e con il coltello spingo il tonno nel piatto. Ne metto metà nel piatto e salta fuori che sotto il tonno c'era ancora un grosso giacimento d'olio. Non mi stupisco: sono abituato a sapere che sotto i tappeti ci posso trovare la polvere, figurati se mi stupisco di trovare l'olio sotto il tonno. Così senza pensarci troppo riporto la scatoletta sull'imbuto, la inclino per versare tutto quell'olio e la metà tonno che era ancora nella scatoletta fa un guizzo dritta nel lavandino, centrando un bicchiere che era sporco da due giorni. Ci avevo bevuto del succo di pompelmo e non l'avevo lavato. Mi ero detto: «Chi se ne frega», lo laverò domani, lo laverò quando ci sarà più roba da lavare, e intanto il lavandino si era riempito anche di una pentola, delle posate e un paio di tazzine da caffè. Per fortuna ha preso il bicchiere: era la cosa più pulita che c'era, e che faccio?, raccolgo l'olio del tonno per non buttarlo nel lavandino, e poi ci butto il tonno sano? No: recupero il tonno, o almeno quello che riesco a recuperare infilando le dita nel bicchiere (alto e stretto). Un po' ne resta sul fondo, un altro po' è finito nel lavandino, tra polvere di caffè umidiccia e altre schifezze. Sì, quello resta lì: ci penserò dopo.
Cerco di dimenticare in fretta che metà del tonno nel piatto sa di pompelmo e probabilmente di qualcos'altro che è finito in quel bicchiere lasciato all'incuria. Ci metto sopra un filo d'olio crudo, un pizzico di sale e uno spicchio d'aglio tritato alla buona. Chissà se esiste una ricetta così, o se è davvero un piatto alla cazzo, mi chiedo. Ma in fondo non è importante: cos'è l'italian style, il made in Italy, il tanto celebrato genio italico, se non una combinazione di «Chi lo sa» e «Chi se ne frega» che qualche volta ha funzionato e il più delle volte ha combinato guai? Ci vuole fortuna. E c'è forse qualcosa di più italiano della fortuna? L'idea che le cose vadano sempre e comunque come devono andare, che in fondo, davanti a qualsiasi problema si può sempre rispondere: «E io che ci posso fare?», perché se le cose vanno male che ci posso fare?, siamo sfortunati, ma la ruota gira per tutti. In Nord-Europa e in Nord-America la dea bendata è la Giustizia, invece da noi è la Fortuna. Curioso, no?
Intanto piove. Dovevo uscire, avevo un appuntamento per pranzo, dovevo andare in biblioteca a studiare, ma sono pigro e piove. Governo ladro, come tutti noi ‒ o meglio: come tutti voi, ché io sono onesto e se qualche volta sgarro è solo perché fanno tutti così e non sono un ladro, ma qua nessuno è fesso. Mi verso un bicchiere di vino rosso ‒ questo sì, è uno stereotipo ‒ e mangio questa ciambotta fredda e nonostante tutto un po' insipida. La accompagno con del pane tipo pane del Mulino Bianco, ma diverso. La confezione si vanta di contenere del pane fatto senza grassi animali, e mi chiedo chi diavolo fa il pane coi grassi animali, ma non mi stupisco che se ne trovi in giro. Forse da qualche parte, in Padania, è anche una cosa normale: lì usano il burro per tutto. Al Sud, invece, il burro si usa solo per sfizio. Incredibile questo non conoscersi per niente, dopo 150 anni di convivenza, e scoprirsi a dubitare degli altri sulle cose quotidiane come il pane: ci credo che poi ci si guarda tutti con sospetto. E spesso a pensar male non si sbaglia, disse il Divo Giulio ‒ forse il più italiano dei Presidenti del Consiglio, sicuramente uno che degli italiani aveva capito tutto.
Dopo mangiato lavo i piatti, ma prima metto a fare il caffè. Un impeto di buona volontà una tantum ci sta, è molto italiano. Come manifestare per le donne o per il lavoro o contro il presidente: una tantum ci sta, il sabato o la domenica pomeriggio, ma poi lasciatemi in pace, che ho da fare, di 'ste cose non ne voglio sapere ‒ non sono femmina, il lavoro vedrai che si trova e il presidente facesse quello che vuole, «Chi se ne frega», pensa alla salute, che solo quella è importante. Resta da lavare solo il bicchiere del vino, ma è uscito il caffè. Il bicchiere lo laverò dopo. Cosa ho mangiato?, mi chiedo. Curioso, non me lo ricordo. Pazienza, beviamoci 'sto cafè, e chi se ne frega.
14 febbraio 2011
Il baricentro del risotto
Il bello del risotto è che è riso bollito, tanto bollito, finchè non c'è più niente da bollire. Il punto è in che cosa farlo bollire. Ad esempio se si ha, per caso, una padella rovente e si fa saltare dello speck a quadratini su un soffrittino di cipolla è ovvio voler far tostare il riso. Poi però deve cuocere e ha bisogno di un liquido. Hai poco tempo per decidere, un paio di minuti al massimo. Il solito brodo va bene, se è un brodo particolare è meglio, se hai una birra scura che per qualche motivo non hai ancora bevuto usa quella! Sì, puoi assaggiarla prima. Non basterà per la cottura quindi dopo continua con un brodo leggero, nessuna scazzottata nella mia cucina! Chiusura con burro, o ricotta, e se ti è avanzato dello speck saltato tanto meglio. Chissà quale liquido indosserà il risotto di domani?
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